giovedì 11 ottobre 2012

Reality, una visione disturbante dell'Italia di oggi.





Aniello Arena è un carcercato ergastolano responsabile della strage di Barra in cui morirono tre persone nel 1991. In carcere scopre di amare il teatro, e dedica la sua vita alle attività della compagnia della Fortezza. Viene visto da Matteo Garrone, che decide di affidargli la parte del protagonista nel suo ultimo film, per l’appunto Reality.
E’ già questa una storia che merita di essere riportata, all’interno di un contesto cinematografico che già di per sé tende a non rischiare poco o niente e per questo tende a essere ricordato poco o niente.
Ma non è il solo motivo per parlare di Reality, un film che ha vinto meritatamente il Premio della Giuria all’ultimo festival di Cannes. La storia parla di Luciano, giovane pescivendolo di Napoli con moglie e tre figli, che ha fatto della simpatia la sua marcia in più nella vita, e si esibisce con imitazioni e travestimenti a feste e matrimoni. E’ proprio ad un matrimonio che Luciano vede l’ultimo vincitore del Grande Fratello, e in lui legge la sua aspirazione di un’esistenza : essere ricco, conosciuto, e ammirato. Tre elementi che nella ricetta piuttosto partenopea ma anche italiana significano : amato.
Si propone alle selezioni, e passa il primo turno. Da quel punto in poi il binario su cui corre la sua esistenza è di tipo mistico – consumistico, ed egli si vede al centro di un piano astrale secondo cui il Grande Fratello lo ha già da tempo scelto come proselita, e lo sta semplicemente mettendo alla prova.
La visione disturbante è di un’Italia ormai veramente in balia a se stessa in quanto a tradizioni e ideali, in cui neanche più il baluardo della figura anziana resiste al dilagare della vetrinizzazione sociale : ogni vita è niente altro che un prodotto da esporre e mettere in una casa, le emozioni e i sentimenti sono le caratteristiche del prodotto, e più ce ne sono più il prodotto vale.
Agghiacciante e memorabile è la sequenza in cui Luciano, ormai in balia della propria folle convinzione, entra di nascosto nella casa del Grande Fratello, osserva con un sorriso assente i partecipanti, fissa la telecamera e ride una risata afona e senza colore. Mentre la ripresa si allarga a Roma intera e le luci si allontananano, la risata vuota resta.

mercoledì 5 settembre 2012

Le favole di Monsieur Lazhar

In una scuola canadese l'insegnante di una classe si suicida. Al suo posto, arriva l'algerino Bashir Lazhar, che deve far fronte alla difficile situazione emotiva degli allievi. Bashir non ha un passato felice, e non rivela questidettagli all'interno dell'istituto, omettendo anche di essere un rifugiato politico.
Sarà questo a causargli l'allontanamento dall'istituto.
Questa la trama del film. Cosa c'è di speciale nel film del canadese Philippe Falardeau allora?
Tutto. Incredibilmente denso di energia, a cominciare dall'interpretazione degli attori, che aprono una finestra così realistica da non sembrare possibile.
Il tema centrale della violenza ricorre in tutto il film, sia nella storia personale del maestro Bashir, sia nella dimensione della classe, con una prova durissima che i bambini, i futuri adulti, sono costretti ad affrontare, senza più le protezioni talvolta perfino dannose dei genitori.
I sensi di colpa, la paura di essere inadatti al ruolo, il pregiudizio di sapere troppo della vita, e l'impossibilità di avere un contatto: trappole che vengono disinnescate, solo e soltanto grazie al coraggio. Il coraggio di parlare piuttosto che tacere, il coraggio di continuare a vivere dopo e nonostante il dolore, il coraggio di non smettere di amare.
La favola si chiude nell'abbraccio di un addio, il maestro e l'alunna, entrambi bisognosi di protezione, entrambi grati.

domenica 24 luglio 2011

Il più grande mostro dopo la Seconda Guerra Mondiale




"E' il 26 Luglio 2032. In una cella più simile ad un hotel, un detenuto biondo ormai stempiato apre gli occhi. Fuori c'è il sole, è una bella giornata. Si lava i denti, il volto, si veste. Guarda il calendario. C'è una x sul giorno di oggi.
Ad un tratto si ricorda che oggi è il giorno in cui viene liberato.

I ricordi, come libri impolverati su cui viene soffiato sopra, tornano alla luce. C'è qualcosa in essi che non torna, come se appartenessero ad una vita precedente, come se fossero i passi di una recita fatta tanto tempo fa. Gli anni in carcere sono stati come vivere un'altra esistenza, ma in fondo è stato come guardare la stessa goccia scendere dieci cento mille volte.

Due firme, procedure formali, in mezz'ora è fuori. E' una bella giornata, le montagne sono verdi e l'aria è frizzante. Una macchina lo aspetta.
In tasca poche cose. Il portafoglio di pelle, un orologio di metallo e un foglietto con su scritto un calcolo:

82 x 89 : 7600

82 giorni x 89 omicidi : 7600 giorni di reclusione, ovvero 21 anni.
Così prevede il codice penale norvegese.

Anders Behring Breivik ha sterminato 89 vite, senza pietà, senza ripensamenti, senza rimorsi, uccidendo ragazzi che avevano tutta la vita davanti con pallottole per la caccia agli elefanti. Ha confessato.
Anders Behring Breivik ha passato 21 anni in carcere. Dopo la confessione il processo è stato breve, immediato.
In un giorno, anche se programmato per tre anni, ha mandato una piccola grande nazione in pezzi, una nazione che non aveva mai conosciuto il terrorismo nel proprio paese, una coscienza comune da rifare, migliaia di famiglie distrutte, il Re di Norvegia alla Cerimonia Funebre con gli occhi bagnati dalle lacrime.

Guardando quei prati verdi fuori dalla prigione gli torna in mente il volto di quella ragazza che gli aveva supplicato inginocchiandosi di essere risparmiata, dicendogli di essere ancora giovane. Lui le aveva sparato in testa. Quando le si era avvicinato per controllare che fosse morta, il suo volto era curiosamente sereno. Era riuscito a dimenticare tutto. Ma quel volto deforme e sereno gli era rimasto impresso negli occhi.

In questi anni l'unico amico è stato il prete del carcere. Ha cercato incessantemente di lavare la sua anima nera come la notte, pensando che l'unico sapone per lavare quella tenebra fosse l'amore. Gli hanno insegnato che l'unico modo di salvare il Mondo è spezzare la catena dell'odio.

E alla fine c'è riuscito. Tutto il Mondo voleva la testa di quel ragazzo di 32 anni, mentre lui era l'unico a volerlo salvare.
Ora quell'uomo di 53 anni, che ha incarnato il male, è pronto per ricominciare la sua vita, e la sua anima è pulita"

Le cose potrebbero andare così. Il futuro potrebbe essere questo.
A volte ciò che gli uomini possono fare agli altri raggiunge livelli di crudeltà talmente impensabili che l'unico modo per trovare un significato è immaginare il futuro.
Per portarsi il più lontano possibile da questo presente così assurdo e doloroso.

sabato 18 giugno 2011

Tree of Life non è un film!


Non ho mai visto un film come The tree of Life.
Ne ero certo, non appena uscito dalla sala, lo sguardo che si posava lento da un palazzo all'altro, le luci, la strada, le voci delle persone. Non si percepisce più la differenza tra sala cinematografica e mondo esterno, i confini si fanno labili, gli spazi e i ruoli invertiti. No, non ho mangiato pesce avariato.

Qualche aggettivo per definirlo :
Ambizioso, denso, non strutturato, lungo, impalpabile e frustrante.
Non è una visione confortevole e rassicurante.
Non affronta una vicenda in ordine temporale anzi assicura nelle mani dello spettatore digressioni inafferrabili, continue manciate di sabbia che inevitabilmente scivolano dalle mani.
Forte è la volontà di fornire un ordine alle vicende umane nel loro complesso, forte è la volontà di fornire una risposta alle domande talvolta strazianti e imploranti che ciascun individuo si pone durante la sua esistenza, ed è attraverso queste domande che si snoda, e pone lo spettatore in uno scivolo ad acqua in cui è impossibile fermarsi.
Le domande sono identificate come linee guida di un'intera esistenza.
Dall'infanzia fatta di giochi, suoni, immagini e stupore.
All'adolescenza fatta di ribellione e scoperte, frustrazione ed errori.
Allla maturità, fatta di domande, rassegnazione, dolori e cambiamenti.
La vita, un viaggio a senso unico senza itinerario stabilito.

E' acqua che penetra in ogni anfratto rimasto nascosto, per esaltarne forme e colori, bellezza e miseria.
E' terra che richiama l'uomo alle sue origini e alla sua destinazione.
E' aria che eleva il grido di stupore e di angoscia che gli uomini elevano al cielo, a qualunque Dio essi facciano riferimento.
E' fuoco, che ha bruciato e continua a bruciare, e un giorno smetterà di brillare.
C'è fantascienza, ma non è mai sembrata così reale.

Al di là dei meriti o demeriti artistici che si possono assegnare, è un documento unico nel suo genere, che dovrebbe essere valutato tra vent'anni e preservato dalle critiche o dagli elogi, poichè esistono mille ragioni per amarlo e altre mille per condannarlo.


Due ore di pausa dalla propria vita, credo guadagnate.

lunedì 3 gennaio 2011

E DOMANI





"Tempo, tempo, massa grigia e informe, che occupa tutto l'orizzonte e s'avanza con le sue mille braccia tese e tutto ci sospinge contro. Non si vede uno spiraglio. Quante volte si dice: bisognerebbe fermare la tal cosa, arrestare questo evento, allontanare la scadenza, ottenere una proroga, rinviare una data, procrastinare una rata. Ma è inutile.
Tutto viene avanti come un esercito infinito, spinto da una forza bruta e insesorabile: il tempo. Tutto spunta ai limiti estremi dell'orizzonte, e cresce, s'ingrandisce, s'avvicina, empie il cielo, è su noi; e altre cose sono in marcia vicine e lontan, scavalcano i greppi, superani gli ostacoli, strisciano da tutte le parti tutte inseme, mentre quel polverio là dove la terra tocca il cielo è il nuovo che spunta all'orizzonte e presto sarà su di noi, incalzato da una forza senza cervello e senza cuore: il tempo.
Il tempo che ci piglia le ore, i giorni, gli anni, i quattrini, i capelli, i denti, la gioventu, il lavoro, i ricordi, le persone care. Tutto divora nella su amarcia che non si ferma mai. Se gli si dice: fermati!, se gli si dice: corri!, lui viene sempre con lo stesso passo, non si affretta e non rallenta.

Tempo prepotente, cieco, immenso, stupido, che occupi il cielo e la terra, e vieni avanti con le fauci spalancate, mi hai preso quello che avevo e quello che ho guadagnato, mi hai preso tutto. Che altro vuoi da me? Vuoi la mia vita?

E prenditela!"

Achille Campanile, Cantilena all'angolo della strada.

domenica 19 dicembre 2010

The fading curtain

Il sole comparì alle sei e tre minuti. I suoi occhi erano già aperti, e da tempo osservavano i contorni del mondo che la circondava che di secondo in secondo si delineavano con un tratto più netto. Era come se stesse osservano le numerose passate di colore che servono ad un quadro per prendere forma sulla tela. Poteva osservare ogni singola spiga di grano delinearsi nel campo davanti a lei, le nuvole in cielo tingersi da blu scuro a azzurro chiaro e la goccia di rugiada sul filo d'erba di fronte al suo viso caricarsi di luce come una lampadina.
Le case dei contadini giù in fondo alla valle, con i tetti rossi e irregolari. Gli uccelli nell’aria che già volavano come in ritardo. I rumori del bosco vicino. Il fiume in lontananza.
E poi c'era il sacco a pelo. Ecco, come dimenticarsene. Quel sacco a pelo blu vicino al suo. C'era la sua mano in quella di un altro individuo che incurante di tutti questi particolari riguardo al Mondo a lui circostante, dormiva silenziosamente, in un silenzio quasi ostinato.
Insieme al mondo in quel momento tornavano nitide innumerevoli immagini, sensazioni, ricordi e odori. Come se lentamente il suo corpo si stesse svegliando da un letargo durato molto tempo. La sua memoria era come una fisarmonica da cui le pieghe traboccavano di appunti relativi alle più svariate situazioni.
Gli appariva tutto un tantino sopra le righe, quasi ingiustificato. Il peso che quel risveglio stava assumendo, l’effetto che stava avendo su di lei le pareva eccessivo.
Provò a lasciare la presa sulla mano, come per interrompere la corrente di pensieri che la legava al sacco a pelo blu. Fu come cercare di aprire una porta e rimanere con la maniglia in mano.
Ai pensieri tristi che quella mattina portava si aggiunse un senso di distacco amaro e gelido. Tirò un sospiro e guardò il cielo sopra di lei che era impassibile come una guardia da grandi cerimonie.
Fu nel cielo che si specchiò la lacrima che cominciò a scendere lungo gli zigomi, e poi un’altra e un’altra. Furono lacrime silenziose, lacrime rassegnate senza rabbia. Quelle che scavano i solchi più profondi. Chiuse gli occhi sperando di fare una magia e cancellare quelle lacrime con un trucco da prestigiatore.
Ma le lacrime continuavano a specchiarsi.

lunedì 25 ottobre 2010

Pieni a rendere




Ieri sera ero a casa, una domenica sera che scivolava lenta,con la pioggia che batteva il ritmo di quelle ore così tranquille. Tlik Tlak Tlik Tlak. Bisogna uscire a mangiare, certo che però si sta bene qua sotto il piumone... Giro i canali, a chi vuol essere il milionario chiedono qual'è stata la diretta televisiva più vista nel Mondo. I funerali di Lady D. Sbadiglio. Guardo il giornale di oggi...a Parigi 11 persone si sono gettate dalla finestra perchè convinte di aver visto il diavolo. Gli occhi si fanno pesanti dallo stupore.
Il tg1. Pappappaparapaaaa...L'omicidio di Avetrana. La mazzata finale. La terapia contro l'insonnia definitiva. I ricordi a questo punto si perdono e la scena diventa densa e acquosa, cerco di resistere ma l'onda è troppo forte mi porta via....attenzione!
Due giovani sono davanti ad un cancello, un cancello di una città del nord Italia, una città che si chiama Avetrana, in cui è avvenuto un omicidio, e quello è il cancello della porta della casa dove abitava la ragazza, proprio così. I due ragazzi fanno foto ricordo davanti alla casa della ragazza uccisa. Le persone piangono e dispensano parole care in ricordo della povera ragazza. Povera e sconosciuta. Ma non per questo meno amata.
La gente è in processione per la città, i pullman sono organizzati per l'Avetrana Mike The Ripper Tour, chi manda un bacio chi getta un fiore, tutti in fila per tre, nessuno si vuole perdere un attimo della città più chiaccherata d'Italia!
Poi l'audio degli interrogatori di Michele Misseri. Così ho ucciso e violentato Sarah. Il protagonista principale del caso cult dell'anno presta ai microfoni del comando dei carabinieri la sua maestrevole voce atonale raccontando di come strinse al collo della sua nipotina la corda, l'ha girata due volte, la ragazza piangeva, poi l'ho violentata. Il rapporto è stato sessuale o anale? Sessuale. è durato cinque sei minuti.
Non sbadiglio più.
Il servizio ha avuto uno share importante, la direzione di rai 1 si dice soddisfatta del lavoro.


Questo articolo non si vuole concludere, e non vuole esprimere una posizione.
Vuole lasciare aperto lo spazio a chiunque per riflettere sulle attuali dinamiche delle informazione, e di come questa possa influenzare le persone. Riflettere sui tour turistici ad Avetrana. Riflettere sugli interrogatori resi pubblici.
Riflettere su questo servizio di stato pagato con il nostro canone.
Riflettere sul telo bianco.
Il telo bianco con cui mostrare pietà.
Un telo bianco per coprire da oggi quello che ci fa venire la nausea e voglia di urlare, per non dimenticarci che siamo vivi e non siamo soltanto bidoni dell'immondizia, buoni solo per ricevere spazzatura.