mercoledì 9 settembre 2009

09/09/09



Ti svegli, e fuori è buio. Stavi facendo un bel sogno. Parlavi con amici in maniera rilassata del futuro e rincorrevi un aquilone.

Le tre sveglie puntate sulle sei e trenta che creano l'effetto di un attacco termonucleare ti riportano come una fionda alla realtà, che è ben peggiore di un incubo. Guardi la data sul cellulare.
E' il 9/9/09.

Tra due ore dovrai dare l'ultimo esame della tua laurea. La tua vita può cambiare nel giro di venti minuti, e non c'è nessun posto in cui tu possa fuggire da questa verità implacabile.
Respiri lunghi nell'aria della stanza che sa di tempo passato, che non profuma di quel momento. La lucidità ti piomba addosso come un mantello freddo, e il cuore pompa a mille.
Ti accorgi con un pizzico di ironia che nella tua vita le ore sei e mezza hanno sempre avuto un'importanza trascurabile, anzi diciamo che è come se voi due foste due parenti che abitano dall'altra parte del Mondo e si vedono raramente.
Avevi già programmato di andare a correre appena sveglio, perchè ieri sera avevi letto un articolo : il modo migliore per ossigenare il cervello è, appena svegli, correre un quarto d'ora.
Senza colazione, senza lavarsi. Correre. Per una vita ai 100 all'ora.
E allora giu di corsa, con il buio e con l'aria frizzantina. Accendo l'ipod e parte una canzone di Ligabue carica. Buon segno. Corro e il buonumore aumenta ogni passo, accertandomi che non mi veda nessuno mimo nell'aria il gesto di un pugile, ma mi rendo conto di essere ridicolo e mi limito ad un destro-sinistro-gancio.
Torno in casa, mi tolgo i vestiti, mi faccio la doccia, e il buonumore è svanito chissà dove.
Divento improvvisamente molto lento, calcolo i movimenti. I vestiti, la camicia, le calze, i pantaloni, le mutande, già pronti dalla sera prima.
La procedura di vestizione mi ricorda sinistramente la vestizione di un morto. Indosso i jeans, mi abbottono la camicia, mi accarezzo la faccia, come se dovessi separarmene tra poco.
La sensazione è anche quella, già mi vedo andare alla cattedra, lavato, profumato con unguenti, sento il rullo di tamburi e il cuore che batte, e l'ora della mia esecuzione che si avvicina. Vedo un prete vestito di porpora che passa vicino alla mia sedia e pronuncia frasi in latino gettandomi in faccia il fumo dell'estrema unzione e facendomi tossire.
Metto le scarpe, con aria rassegnata, apro la porta di casa, e la sento chiudersi.
Arrivo all'università e mi sento i vestiti addosso come una scarpa scomoda, cammino e riconosco in me un'andatura goffa e confusa. Entro nell'aula, è già un bordello di voci contrastanti, tutti pronti ad instillarti più dubbi che certezze.
Mi rifugio in un angolo, apro i libri, mi viene il vomito. Non trovo lo statino. Non trovo il libretto. Ho l'alito pesante, lo sento.
Accordo in mi minore che risuona nella testa, nell'aula, è dappertutto. Entra il professore.

Da quel momento tutto si svolge con l'andatura di un onda.
L'appello. Wooosh
Venga lei, è il primo. Wooosh.
Prima domanda. Wooosh. La so.
Seconda domanda. Wooosh. Mes e mes.
Terza domanda. Woosh. Non è nel programma, mi scusi. Brivido. Doppio Woosh.
Quarta domanda. Woosh. La so.
Si accomodi.
Wosh Wosh Wosh Wosh.

Non sono morto, posso togliermi la camicia.

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